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Le concerie di Fès, con i suoi colori che ti cavano gli occhi e i suoi odori che ti rivoltano lo stomaco.

Esperienza

Non esiste città in Marocco, dove non mi sia perso almeno una volta. Le città marocchine, parliamo soprattutto delle Medine, sono un labirinto di vie, vicoli, portoni, che si mescolano tra di loro con le loro mura sgretolate che sembrano tutte uguali. Quando pensi di essere arrivato nel luogo che avevi visto la mattina precedente, quasi sicuramente ti sbagli e ti ritrovi dalla parte opposta della città a vagolare senza avere la minima idea di dove tu stia andando.

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E preoccuparsi di scappare dai venditori delle botteghe che cercano di venderti anche la loro madre, e schivare folli motorini che sfrecciano nei vicoli a velocità inaudite non aiuta sicuramente la concentrazione per localizzare quel particolare che ti aiuta a ricordare che quella strada è quella giusta. Non esiste navigatore che ti aiuti nella Medina. Non esiste una cartina dettagliata di ogni singolo vicolo di quel luogo così caotico e affascinante. Quindi o ci si affida al caso e alla fortuna oppure l’unico aiuto che puoi trarre è dalla gente locale e dai bambini. Che però, ovviamente poi richiederanno una ricompensa.
Ed è proprio con un bambino in particolare che iniziamo la nostra storia. Si chiama Omar è vive nella medina di Fès.

Arriviamo a Fès e notiamo che è molto più europea di Marrakech. Donne con jeans, traffico ordinato e vigili per le strade. Sembra un altro mondo. Una cosa che ho anche notato è che tutti, ma proprio tutti, suonano il clacson. E sembra tutto assolutamente normale.
Arriviamo e in macchina sale Omar, un ragazzino che ovviamente vuole sfruttarci e ci vede solo come delle banconote che camminano. Ci accompagna all’ostello e ci dice che ci vedrà anche dopo. Vabbè. L’ostello è molto carino e ci piazziamo in una camerata da 12, per il modico prezzo di 9 euro. Ci rilassiamo e finalmente mi faccio una doccia. Meraviglioso. Ed è pure calda. Verso le 6.30 usciamo per fare un giro, e rincontriamo Omar, e gli dico subito che non abbiamo molti soldi, e quindi che nel caso lui li volesse non abbiamo tanto. Lui dice di non preoccuparsi.
Vedremo.

Ci fa fare un giro nella medina ed è decisamente meno delirante di Marrakech, almeno qui non ti fermano ogni 10 secondi per venderti qualsiasi cosa. Incredibilmente, Omar, che non avrà avuto più di 10 anni, parla quasi perfettamente italiano. Vagoliamo per le strade e osserviamo la medina. E’ interessante. Le strade sono più grandi e sembra che sia più ordinata delle prima visitate. Per una città marocchina il significato di ordinato è da prendere con le pinze.

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Ovviamente finito il giro Omar ci chiede dei soldi, che non vogliamo dargli. Alla fine gli diamo 10 dirhan e ci scaccia in malo modo, dicendo che di solito gli italiani gli danno addirittura 20 euro.
Cerchiamo di tornare all’ostello perdendoci svariate volte ma alla fine riusciamo a tornare, anche all’aiuto, gratuito, di alcuni ragazzi. Nel frattempo mangiamo del pane e formaggio per 6 dirhan, 60 centesimi. Nell’ostello incontriamo altri viaggiatori e alla fine andiamo in terrazza.
Qua incontriamo questo Scott, un canadese con dei bellissimi baffi che ormai è in viaggio da due anni che tira fuori una bottiglia di gin. Iniziamo a chiacchierare e bere assieme a tutti gli altri fino a che la notte non cala e ci coccola nelle sue mani.

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Il giorno dopo usciamo alla ricerca delle concerie. La medina di mattina cambia completamente aspetto, è più caotica e particolare. I mercati sono aperti e quindi si può notare come davvero sia la quotidianità di queste persone. Noi nel frattempo, perdendoci ancora tra mercati, bazar e tutto ciò che può offrire la medina, cerchiamo per ore queste terrazze per osservare le concerie. E alla fine troviamo la prima, l’odore è forte e sono leggermente più caratteristiche di quelle visite a Marrakech. Ovviamente poi cercano di venderci l’impossibile con sconti solo per noi è perché anche oggi, come ieri, e l’altro ieri…È IL COMPLEANNO DEL RE!!

Vabbè, lasciamo stare. Questo fatto che non ti vedono come una persona, ma come un povero sfigato turista da prendere in giro sta iniziando a darmi fastidio.
Giriamo per cercarne un’altra e alla fine una gentile signora ci porta nel suo negozio con terrazza. I colori sono decisamente più forti, tutti tendente al rosso e al giallo. Le condizioni di lavoro sono penose. Questi poveri uomini infilati fino alla vita dentro queste vasche medioevali, che lavorano con questo odore pungente tutto il giorno. Ed è proprio questo quello che più ti colpisce delle concerie. L’odore.

Un odore pungente che ti entra dentro le narici e che ti rabbrividisce e disgusta. Un odore acre che cerchi di combattere solamente con dei rametti di menta fresca, la stessa menta usata per il tè. Le concerie ti toccano dall’interno. Quegli uomini, quell’odore, quei colori.
Quella tradizione secolare.
Dopo una mezz’ora abbondante decidiamo di tornare verso l’ostello.

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Perdendoci ancora una ventina di volte nei vicoli di questa città dove tutti ti chiedono soldi per tutto, dove signori in camicia portano in giro polli vivi tenendoli per le gambe come se nulla fosse, dove si sentono i canti dei bambini nelle scuole che imparano i numeri.
Dove passi dal fastidio, al fascino, con la svolta in un vicolo.

Il Bardo

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Ultima modifica 22 de Dicembre de 2016

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